L'idea è nata dalla prof.ssa Adelina Facci Tosatti, membro attivo del comitato organizzativo e del gruppo di lettura, che ci ha suggerito questo "ripescaggio" più che meritato, legato al tema della shoah e delle pietre d'inciampo.
Il racconto si intitola "Stolpersteine a Monaco di Baviera: meglio nascondere", ed il suo autore è Alessandro Eugeni, romano di nascita ma residente proprio a Monaco.
Eugeni è fra l'altro autore di un importante volume edito da Pacini Editore, intitolato "Il falegname di Ottobrunn-Processo a un criminale di Guerra", che vanta la prefazione di Andrea Camilleri.
Il suo prossimo libro in uscita riprende la storia del racconto che ha partecipato al Premio La Quara e racconta la storia delle pietre d'inciampo a Roma.
Ringraziamo l'autore per la gentile concessione e vi proponiamo il racconto, buona lettura.
STOLPERSTEINE
A MONACO DI BAVIERA:
MEGLIO
NASCONDERE
di
Alessandro EUGENI
Era di martedì, il 19 febbraio del 2013, una bella giornata di sole, inconsueta per il periodo e da quelle parti. Avevo un appuntamento a Colonia con un Vertriebsleiter, responsabile delle vendite della casa editrice Kiepenheuer & Witsch. Appena uscito dalla stazione centrale della città, mi accoglie la Bahnhofplatz, la grande piazza dalla quale si fa prepotentemente notare, a sinistra, il Duomo gotico, colossale, imponente, impressionante con quelle due vertiginose torri cuspidate che sembrano entrare in orbita nel cielo, ben oltre 150 metri di altezza, ancor più maestoso perché sopraelevato rispetto a tutto ciò che ha intorno.
Colonia è la città dove vive Gunter Demnig, artista conosciuto a Monaco di Baviera nel 2011 e ideatore del Kunstprojekt, importante progetto europeo storico, artistico per il ricordo dello sterminio di ebrei, “zingari”, perseguitati politici, disertori, testimoni di Geova, disabili, omosessuali e di tutti gli Untermenschen, uomini inferiori secondo l’ideologia razzista, vittime del nazionalsocialismo. La Stolperstein, “pietra d’inciampo”, è una piccola targa d'ottone applicata su un blocchetto cubico di cemento a forma di sampietrino sulla quale sono incisi nome, anno di nascita, data e luogo di deportazione, anno di morte della vittima. La pietra viene incorporata nel selciato stradale davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, divenendo così parte integrante del tessuto urbanistico e sociale della città.
Sbrigato l’incontro riguardante un mio progetto editoriale, mi vedo con il sempre puntualissimo Gunter, presso la Früh am Dom, antica birreria in stile a due passi dal Duomo, appuntamento a cui tengo in modo particolare, tanto mi sono appassionato al suo Museo diffuso della Memoria. Il tempo per una breve conversazione mentre beviamo lui due, io una kölsch, la tipica birra di Köln servita nel classico bicchiere cilindrico da 20cl, mentre intorno i camerieri corrono avanti e indietro con i loro vassoi per consentire di consumarle prima che diventino calde.
Subito dopo, l’artista mi accompagna nel punto, siamo proprio sul sagrato del Duomo, dove si trova la prima installazione che nel 1993 dà il via all’iniziativa: una lastra rettangolare a pavimento dedicata alle prime deportazioni dei Sinti e dei Rom. Gunter mi spiega che la sua idea è partita proprio da quando un’anziana signora dichiarò, con una certa stizza, che i nomadi non avrebbero, a suo dire, mai abitato a Colonia.
Nel pomeriggio, me ne vado a camminare nel centro storico e incrocio, tra i miei passi, numerose pietre d’inciampo che, come molte altre, sono disseminate un po’ in tutta la città, più di duemila. La mia attenzione è attirata da un mozzicone di sigaretta schiacciato sopra una di esse. Speravo che, ad avercelo portato, fosse stato il vento. La mia curiosità mi obbliga a tirare su la cicca con le dita e mi accorgo che, sopra la piccola targa di ottone, sono ancora ben visibili le tracce della combustione: segno che il fumatore dovesse essere sicuramente un moderno nostalgico del Führer.
Fino all’aprile 2017 vengono installate in tutto 62.000 pietre d’inciampo in 1200 tra città, cittadine e altre località d’Europa facenti parte di 21 nazioni: Austria, Belgio, Croazia, Germania (6500 solo a Berlino), Grecia, Italia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ucraina, Ungheria, insomma in ogni luogo che ha visto le persecuzioni naziste. In preparazione, in Bielorussia e in Macedonia.
Per il suo impegno storico, Gunter Demnig riceve nel 2005 dalle mani del Presidente della Repubblica tedesca, Horst Köhler, la croce al merito Bundesverdienstkreuz.
Non tutti però gradiscono questo Museo viaggiante e nel 2004 ecco la prima battuta d’arresto. Nel giugno di quell’anno il Consiglio comunale di Monaco di Baviera impone un divieto: le Stolpersteine non possono essere messe in opera nello spazio pubblico. Tollerate soltanto se inserite all’interno delle proprietà private. Per questo, le prime due pietre di Paula e Siegfrid Jordan vengono rimosse dagli operai del Comune. Sorpresa e imbarazzo accompagnano questa decisione. Sta di fatto che dal 2004 a tutt’oggi le pietre d’inciampo sono vietate sulle strade di Monaco.
La principale oppositrice, come mai proprio lei?, è Charlotte Knobloch, presidentessa dell’IKG, Israelitischen Kultusgemeinde di Monaco e dell’Alta Baviera, la quale ritiene che le pietre possano diventare oggetto di gesti o azioni offensive. E’appoggiata da Christian Ude della SPD, il Partito Socialista tedesco, che è stato sindaco della città fino al 2014. C’è poi la reazione di una parte dei cittadini di München che non sempre accettano di buon animo di essere costretti a ricordare ogni giorno le atrocità naziste.
“Una persona è dimenticata – dice Demnig – quando il suo nome è dimenticato ed è con la pietra davanti alla sua abitazione che il ricordo si fa vivo e attuale”. Collocarle lì dove non le vede nessuno equivale a nasconderle, a ostacolarne la vista, a impedire la partecipazione, il coinvolgimento e si dà la mano al distacco, alla freddezza, all’indifferenza.
Il nuovo sindaco di Monaco di Baviera, l’Oberbürgermeister Dieter Reiter, sempre della SPD, sostenuto dal partito conservatore della CSU, la versione bavarese della Democrazia Cristiana, intende mantenere questa decisione per il futuro e in tal senso delibera il 30 luglio 2015. A questo punto, un gruppo di superstiti dei campi di concentramento con i loro familiari incaricano un avvocato per verificare la correttezza legale dello spiacevole provvedimento.
La contesa spacca in due la comunità ebraica di Monaco, tanto che – in contrasto all’IKM - prendono posizione il gruppo liberale Jüdische Gemeinde München Beth Shalom con il rabbino Tom Kucera.
Tutta la faccenda assume toni inspiegabili, oscuri, enigmatici. Per tentare di venirne a capo, cerco di capire un po’ più a fondo la città di Monaco di Baviera, anche tornando indietro nel tempo e ricordando…
Quel mediocre pittore disoccupato antisemita che tanto ha fatto parlare di sé nel secolo passato, arriva a Monaco da Vienna il giorno 25 del mese di maggio del 1913, pochi soldi e tanta grinta, gironzola dalle parti del quartiere di Schwabing, frequenta lo storico Schelling Salon, lì dove Kandinsky e Franz Marc giocavano a biliardo, conosce talenti e schiappe delle belle arti. Sembra che in quel locale abbia incontrato persino Lenin. Si dice poi che sia venuto alle mani, guadagnandosi una bella sberla, con Oskar Maria Graf, lo scrittore del quale, nel 1934, i libri verranno vietati e bruciati in un falò nel cortile interno dell’Università di Monaco e al quale verrà tolta la cittadinanza. Per conti non pagati, Adolf il poveretto viene cacciato dallo Shelling Salon con un Lokal verboten.
Si arruola nell’esercito bavarese e va in guerra. Al suo ritorno, l’ex caporale entra in contatto, già nel 1919, con il DAP-Deutsche Arbeiterpartei, all’inizio solo una cinquantina di iscritti. Il partito cambia nome e diventa il famigerato NSDAP, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Nel 1921 - immagino dopo una colossale e generale sbornia di birra di tutti i suoi sostenitori - Adolf Hitler ne viene eletto Presidente. La sua carriera è travolgente, nel 1933 viene nominato Cancelliere, capo del Governo, ma da quel momento cominciano i guai per l’Europa. Il 22 marzo di quello stesso anno si inaugura su iniziativa di Heinrich Himmler il primo campo di concentramento, quello di Dachau alle porte di Monaco, modello per tutti i successivi campi di lavoro forzato e di sterminio. E’ così che Monaco di Baviera diventa la Hauptstadt der Bewegung, la capitale del movimento nazista.
Oggi i tempi sono cambiati. Il giorno del settantesimo anniversario della liberazione di Monaco – 30 aprile 2015 - si inaugura il Dokumentationszentrum-NS, Centro di documentazione sul Nazismo nella Brienner Straße 34, esattamente al posto della Braunes Haus, l’edificio che ospitò la nuova sede del partito. La Casa Marrone, centro del quartier generale della NSDAP e uno dei luoghi chiave del regime nazionalsocialista, fu poi bombardata e distrutta dagli americani.
Il Museo vanta un allestimento all’avanguardia ma soprattutto è un centro di studi che analizza con particolare attenzione la genesi, lo sviluppo e le conseguenze politiche e sociali del nazismo: uno studio critico, veramente obiettivo, ben altra cosa da quanto si vorrebbe realizzare a Predappio, con un Museo del fascismo che rischia di incrementare l’attrazione dei fedelissimi e nostalgici di un partito la cui riorganizzazione è vietata dalla Costituzione Italiana.
Sempre a Monaco, dieci anni fa viene inaugurato lo Jüdisches Museum, il Museo ebraico, altra testimonianza di cambiamento. C’è qualcosa in più: presso il Tribunale, l’Oberlandesgericht München, è tuttora in corso il processo – 365 udienze in quattro anni – a una cellula neonazista, la NSU-Nationalsozialistischer Untergrund, in italiano “Clandestinità nazionalsocialista”, per omicidi a sfondo razziale, xenofobo, attentati e rapine. Fenomeno allarmante questo rigurgito neonazista che si sta estendendo in Germania e in molti paesi europei, Italia compresa, e altrettanto allarmante è l’indifferenza di fronte alle aggressioni ai profughi e ai sempre più frequenti attentati incendiari alle dimore degli asilanti, cose che non fanno più notizia per quanto sono ormai all’ordine del giorno.
Se ai tempi del nazismo Monaco di Baviera era la Hauptstadt der Bewegung, oggi la stessa è la Weltoffene Stadt, città aperta al mondo. Ma se c’è qualcuno che sente il bisogno di nascondere le pietre d’inciampo, di attuare un distacco emotivo, di imporre le condizioni per la passività, per l’incuranza, per l’indifferenza, forse, in questa stessa città, c’è qualcosa che non va.
Oggi la capitale bavarese deve apparire spensierata, gaia, lieta, allegra, serena, deve mostrarsi come una Weltstadt mit Herz - una “città col cuore” viene anche detta – una città che attiri i turisti di tutto il mondo nelle sue numerose fiere e manifestazioni, prima tra tutte l’Oktoberfest. la più grande festa popolare al mondo – più di sei milioni di visitatori l’anno - che per gli smisurati eccessi del consumo di birra e di alcolici finisce sempre con atti violenti, incontrollabili, mal di testa e due giorni a letto.
Ma Monaco è anche la città degli affari, del business, degli investimenti, dei colossi BMW-Siemens-Allianz, la vera capitale economica tedesca. Quando si tiene la SIKO-Münchner Sicherheitskonferenz, i potenti della Terra, politici, finanzieri e militari si incontrano al Bayerischer Hof, il Grand Hotel di super lusso a dieci stelle mentre la BMW mette a disposizione per gli spostamenti le sue ammiraglie della serie 740 con suoi potentissimi motori.
Non solo. E’ piuttosto diffusa una certa mentalità, quella dell’avere e dell’apparire più che dell’essere: Hast du Was bist du Was, “se hai qualcosa, sei qualcuno” recita un noto detto popolare. Dunque, in una città che vuole apparire senza pensieri, bella e ricca, quelle pietre d’inciampo esibite proprio lì, sulle strade, sotto lo sguardo di tutti danno proprio fastidio: e allora meglio far finta di niente e nasconderle.
A differenza di quanto accade a Monaco, a Roma la richiesta per le pietre d’inciampo è in grande espansione.
Le prime pietre vengono dedicate al ricordo della famiglia Spizzichino, tutti arrestati in quel tragico 16 ottobre del 1943. L’installazione ha luogo il 28 gennaio del 2010 alle ore 9,30 in Via della Reginella numero 2. Un indirizzo tristemente noto nell’ex ghetto di Roma perché in quel palazzo abitava Celeste di Porto, la “pantera nera”, delatrice, amica dei nazifascisti e responsabile di oltre cinquanta arresti di persone appartenenti alla comunità ebraica.
Le ultime pietre, invece, sono dell’11 gennaio di quest’anno. L’iniziativa è patrocinata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dalla Comunità Ebraica di Roma e dall’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania. Ci tenevo ad essere presente – come cerco di fare ogni volta che mi è possibile - e così mi reco a Valle Giulia, vicino a Villa Borghese, precisamente in Via Omero 14, dove le pietre vengono collocate - presenti gli Ambasciatori del Regno di Svezia e della Repubblica Federale di Germania - di fronte all’Istituto Svedese di Studi Classici. E’ proprio lì che, all’epoca dell’occupazione tedesca, trova rifugio Mario Segre, insieme alla moglie Noemi e al figlio Marco. La sua storia, raccontata nell’occasione dal professore di archeologia classica dell’Università svizzera di Friburgo, Nathan Badoud, mi colpisce e mi emoziona. Appassionato e affermato archeologo ed epigrafista, Mario Segre concentra la sua attività a Rodi e nel Dodecanneso e nel 1934 si dedica alla libera docenza in Epigrafia e Antichità Greche. Solo pochi anni e le leggi razziali lo condannano ad abbandonare il ruolo accademico. Inizia a impartire lezioni private, deve pur sopravvivere, si dà da fare in ogni modo, scrive e pubblica articoli firmandoli con uno pseudonimo. Finché, presso l’Istituto Svedese, arriva una perquisizione della Gestapo a seguito di una delazione. Prontamente, Gurli, la moglie del direttore, essendo assente suo marito Erjk Sjöqvist, riesce a nascondere l’intera famiglia nei condotti della ventilazione. In tutto più di cinque mesi di clandestinità e poi basta una passeggiata nei dintorni dell’Istituto per imbattersi in una pattuglia di repubblichini. Uno di loro si accorge della moglie di Segre, Noemi Cingoli, conosciuta prima della guerra ed è la fine: arrestati, incarcerati a Regina Coeli e portati al campo di concentramento e di transito di Fossoli. Dopo la selezione e la separazione, da una parte il padre, dall’altra madre e figlio, il 23 maggio del 1944 vengono tutti mandati a morire nelle camere a gas e bruciati lo stesso giorno del loro arrivo ad Auschwitz.
Ecco la funzione e il significato vero della pietra d’inciampo, è proprio questa, la vivo in pieno su di me: portare allo scoperto storie dimenticate o ignorate, pungolare, sollecitare la curiosità, provocare un’emozione lì dove prima c’era il nulla.
Non è facile il lavoro di Demning in questi tempi moderni dove la memoria è facilmente soffocata dall’indifferenza. Penso, per contro, al lodevole impegno contro l’indifferenza storica che viene fatto da molti docenti della tanto bistrattata scuola italiana.
Intanto rimangono tutte quelle vittime senza corpo, le cui ceneri sono sparse per le campagne della Baviera, per i boschi di Mauthausen, per i campi della Polonia… Ad esse Demnig restituisce il nome, ci ricorda dove e quando sono nate, mentre l’indicazione del campo di sterminio serve a toglier di mezzo l’indifferenza rendendo noto il suo tragico percorso. Ma soprattutto, ciascuna di loro, fino ad ora sessantaduemila, ritorna finalmente a casa.
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