Procediamo quindi con la carrellata dei finalisti, oggi è il turno di Maria Gabriella Licata.

Nel 1981 si è trasferita a
Milano, la città in cui vive, dove ha frequentato la scuola del Piccolo Teatro
di G. Strehler (ora Paolo Grassi) come “assistente alla regia”. Si è dedicata al teatro per alcuni anni e,
successivamente, all’insegnamento, attività che svolge tutt’ora.
È autrice soprattutto di racconti
brevi e poesie, risultati vincitori in numerosi premi letterari e inclusi in
antologie collettive (Premio letterario Moak, Premio Stefano Marello, Premio
C.Ulcigrai, Giallo milanese, Premio Malerba, Premio Casinò Municipale di Sanremo,
Premio mostra del Tigullio e altri). Con
il romanzo “La bella signora Scimè” ha vinto il Premio Morselli 2015 per
il romanzo inedito.
Anche lei ha risposto alle nostre domande:
1 Cosa significa, per te, scrivere?
Scrivere, per me, è aprire una porta su un mondo di vite, di sentimenti, di emozioni che sento dentro e che vuole trovare espressione. Sono situazioni che vedo intorno, sentimenti ed emozioni che immagino o che percepisco nell’aria, che osservo agitarsi negli altri. Io cerco di dare loro una voce.
In che modo hai affrontato il tema dell’indifferenza?
Non tutti siamo -per nostra natura- indifferenti, ma tutti corriamo il rischio di essere o di diventare tali.
Indifferenti alle ingiustizie, alle ruberie, ai favoritismi, ai bisogni degli altri, alle loro sofferenze. Indifferenti alla Verità. E non occorre guardare lontano, basta fermarsi sulle realtà più vicine: il nostro ufficio, il palazzo, la metropolitana, la famiglia.
Con il mio racconto ho cercato di fotografare un meccanismo. Come lo slancio primario dell’attenzione e della compassione verso gl
i altri, venga fagocitato -nella mente e nel cuore- dall’abitudine, dalla pigrizia, dall’amore di sé. Sino ad anestetizzare e deviare la nostra consapevolezza per mantenere inalterato lo status quo.
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