
Doriana Cantoni è la prima finalista che vi presentiamo, anche perchè è la più vicina.
Con grande sorpresa e piacere, infatti, fra i finalisti abbiamo scoperto una "valtarese", del vicino comune di Albareto.
Doriana Cantoni è nata a Parma nel 1969. Dopo la laurea in Filosofia nel 1993 presso l'Università di Bologna, ha insegnato per qualche anno in istituti privati, per poi abbandonare l'insegnamento e occuparsi di altro. Appassionata di arti marziali che ha praticato per lungo tempo, è affascinata dai racconti di memorie e dal concetto di tempo non lineare. Vive ora in un tranquillo paese dell'Appennino parmense, dove si dedica a tempo pieno alla scrittura.
Di lei ci scrive:
Cosa significa per me scrivere? Innanzitutto è dare voce, in modo certamente imperfetto, al calderone di emozioni che mi preme dentro e cerca di uscire. In questo senso è una liberazione, ma anche una scoperta. Attraverso la scrittura, fin dall'infanzia, ho capito di avere uno sguardo sul mondo personalissimo e per questo prezioso, come in fondo siamo tutti, ognuno a suo modo. Per scrivere ci vuole mestiere, ma soprattutto cuore, bisogna lasciare andare le proprie opinioni per dare spazio a qualcosa che va oltre quello che siamo, che non sarà mai come l'avevamo immaginato, prima di iniziare a metterlo sulla carta. Quando scrivo invento storie che non mi appartengono, se non forse nel profondo, vivono di quella libertà che è data dal non dovere rendere conto a nessuno, nemmeno all'autore. Possono correre via non appena ho finito, senza nemmeno voltarsi, sono altro da me, non richiedono né affetto né troppi discorsi per continuare ad esistere.
Ho pensato spesso a cosa voglia
dire l'indifferenza, se possa definirsi una semplice mancanza di attenzione,
oppure se nasconda in sé i germi di qualcosa di più oscuro, che si tramuta
spesso in violenza. A vari livelli, nella vita quotidiana, siamo spesso
indifferenti all'altro, per il poco tempo a disposizione che deriva da
un'esistenza sempre più frenetica o anche perché badiamo unicamente alla nostra
cerchia ristretta di parenti e amici. Erigiamo muri come se fosse la cosa più
naturale del mondo e spesso ci scopriamo codardi di fronte al dolore
dell'altro, perfino quando si tratta della nostra stessa famiglia. Il peccato
più grande, se esiste, è non sapere più riconoscere nell'altro noi stessi,
relegando le persone a comparse che contano poco o niente nel nostro splendido
mondo, qualcosa che scorre e non rimane dentro che troppo poco, un attimo che
non basta.
Ho scritto una piccola storia sul
tema dell'indifferenza, di getto, come se fosse in attesa dall'altra parte e
volesse essere detta per potermi liberare dai fantasmi che mi perseguitano.
Adesso rimane sulla carta, eppure so che in qualche modo vive ancora, non solo
per me, perché sarà letta e forse in questo modo saprà fare riflettere, anche
solo per un istante, sul senso di questa vita così breve, eppure preziosa.
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